Marco Gambassi
Studio delle stelle: Astronomia e Astrologia
Il tempo e i suoi pianeti
Qualcuno ha detto, ma non mi ricordo chi: “Se desideri la luce, sappi che non la troverai mai, se non generandola nella sua oscurità”
Perché molte volte il telefono è squillato e nessuno ha risposto?
Un giorno afoso di nebbia con i libri sulla testa Viola telefonò e allora le chiesi: “Esiste il tempo? E cosa ti fa venire in mente?”
“Il tempo… mah… mi fa venire in mente l’angoscia. E’ qualcosa di finito, e di infinito insieme. E’ infinito… ma so che per me è finito, e mi devo spicciare a fare le cose”.
“A cosa associ il tempo?” chiesi a lei “ai fratelli, agli amici?”
“No, a qualcosa di diverso e di opposto all’amicizia. Il tempo è solitudine”.
Luna e Saturno
Studiai astrologia e astronomia e mi chiesi se esistesse un pianeta del “tempo”. Forse si trattava di Saturno, che corrispondeva al greco Crono, ed era un pianeta così lento tra tutti gli altri che gli uomini antichi lo associarono alla pesantezza e alla lentezza della vecchiaia, o al tempo che divora le cose che in lui nascono e vivono, come il mitico Crono divorava gli stessi suoi figli.
O forse il tempo era descritto dal sempiterno andare della Luna nel cielo. Tra la Luna e Saturno si poteva notare una singolare consonanza: il mese sinodico, intervallo tra due lune nuove, è di 29 giorni e mezzo, mentre il tempo di rivoluzione di Saturno è di 29 anni e mezzo. La Luna in un giorno percorre mediamente 13°, quasi gli stessi gradi che Saturno percorre in un anno e che sono un po’ più di 12°. La Luna simboleggia l’infanzia e Saturno la vecchiaia. Per i cosmologi antichi la Luna si trovava nella prima sfera, all’inizio della scala che conduceva al cielo, mentre Saturno era il “cristallo” della settima sfera, l’ultima prima del cielo delle stelle. Alla Luna fu assegnato il “domicilio” del segno del Cancro e a Saturno quello opposto del Capricorno, dove la Luna è in esilio. Il Cancro celeste era considerato la porta delle anime che s’incarnano, assaporando la bevanda dell’oblio, mentre il Capricorno rappresentava “Ianua cieli”, la porta del cielo che le anime attraversavano dopo il loro transito terreno. Il termine Ianua ci conduce a Ianus, l’antico dio latino della porta, festeggiato nella stessa stagione del Capricorno, al principio dell’inverno. I due volti di Giano descrivono il fatto che una porta indica due direzioni o separa due stanze. E nei templi di Giano c’erano due porte, chiuse in tempo di pace e aperte in tempo di guerra. Si può infine ricordare che Giano, il dio dai due volti che rappresenta la porta del cielo, è il nome dato ad un satellite di Saturno.
Tutto ciò che riguarda il tempo pare essere duplice o ambiguo, come i due corni della Luna, o come la doppia natura morale di Saturno, ora visto come “grande malefico”, antico e avido re che divorava i suoi figli, ora visto come “caro duce sotto cui giacque ogni malizia morta”, perché era il signore della mitica e felice età dell’oro.
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Ci sono infatti due possibili rappresentazioni del tempo: una è circolare e rassicurante e può essere descritta dall’oscillazione del pendolo, che ritorna sempre al punto di partenza, oppure dall’oscillazione di una culla, che si muove ma rimane sempre lì, come rimane la madre che assiste il bimbo e lo rassicura. E’ il risorgere del Sole all’alba, il ritorno della primavera o il movimento dell’acqua che evapora e ritorna alle sue sorgenti. Questo tempo ciclico o circolare è descritto dalla Luna, col suo rinascere al novilunio.
Un'altra immagine del tempo è invece misteriosa come quella di una linea retta che si perde in lontananza. Questa immagine è spaventosa o sublime, allude al morire e al perdersi nel nulla ma anche all’elevarsi e trascendere. Questa immagine del tempo ricorda la scala d’oro che il poeta Dante Alighieri nella sua Commedia trova al settimo cielo, quello di Saturno. E’ una scala di cui l’occhio non vede la fine, perché conduce ai cieli superiori e verso l’Empireo, cielo ultimo e immoto. Il tempo di Saturno può essere vissuto come tempo dell’abbandono, del non ritorno, della perdita della giovinezza ma anche del perdersi nell’alto, oltre la “porta del cielo” di Giano bifronte.
Dunque il gioco del tempo si dispiega nell’ellissi dell’eterno ritorno o nella parabola che si proietta verso l’infinito. Ma la parabola non è semplicemente un’ellissi che ha il secondo fuoco all’infinito? Così anche la perdita può essere seguita dal ritrovamento. Ce ne parla la leggenda di Cerere e Proserpina.
Cerere era la dea delle messi e dei prodotti della terra, che nutriva uomini e animali. Aveva una figlia detta Porserpina che un giorno, ancora fanciulla, stava raccogliendo fiori in Sicilia quando fu rapita da Plutone, emerso dal suo regno sotterraneo con un carro tirato dai suoi neri cavalli. Cerere si disperò per la perdita dando voce al suo dolore, ma col tempo elaborò il suo lutto e cercò di riavere la figlia. Nel frattempo Proserpina aveva assaggiato i chicchi di un melograno appartenente al regno di Plutone e per questo motivo non poteva più lasciarlo. Così fu Giove, padre degli dei, a trovare un’equanime soluzione, stabilendo che Proserpina doveva vivere sei mesi dell’anno nel sottosuolo con lo sposo e sei mesi in terra con la madre.
Tornando all’astrologia, esiste un pianetino che oggi ha nome Cerere ed è il più grande di tutta la fascia degli asteroidi tra Marte e Giove, e questo pianetino fu perduto e ritrovato. Per la prima volta lo vide Giuseppe Piazzi, nato a Ponte di Valtellina nell’estremo Nord dell’Italia e giunto a Palermo, all’estremo opposto, a costruire un osservatorio astronomico. Ma subito il Piazzi perse di vista la sua creatura e si ammalò, così come la leggendaria Cerere aveva perduto la figlia e quindi si era incupita ed aveva lasciato che la terra diventasse sterile. Scoperto il primo gennaio del 1801, e poi smarrito, il pianetino Cerere fu ritrovato esattamente un anno dopo, il primo gennaio del 1802 dall’astronomo Olbers. Dunque la luce simbolica di Cerere riguarderebbe il ciclo vitale e vegetale annuale e il ritrovamento dopo una perdita. Come la Luna, Cerere si associa a un’immagine materna e tranquillizzante, ma nel cerchio del suo tempo Cerere comprende anche lo smarrimento e il dolore, come nel tempo annuale abbiamo il tempo dell’inverno, quando le piante perdono foglie e fiori e nel cuore può farsi sentire il gelo.
Cerere è l’eterno ritorno della spiga e del sole. Plutone, lato oscuro della freccia del tempo, è l’inabissarsi del seme e descrive un tempo che si smarrisce nel buio e nel silenzio. Il seme muore per dare frutto, ciò che è perduto si può dunque ritrovare?
Plutone, astro del misterioso mondo infero, riguarderebbe l’inizio e la fine del tempo o la sua trasformazione. Fisicamente l’inizio del tempo può essere associato al big bang e la sua fine alla “stella nera”, di cui in seguito parlerò.
Se si pensa a Cerere e Plutone come a due omonimi astri del sistema solare, si trovano delle consonanze: Cerere e Plutone sono entrambi corpi celesti relativamente piccoli e l’uno si associa alla fascia asteroidale, l’altro alla fascia di Kuiper. A Cerere non è stata riconosciuta la dignità di pianeta (anche se ritengo che si possa considerare Cerere, contestualmente alla sua fascia asteroidale, un “pianeta plurimo”); Plutone è stato riconosciuto come pianeta, ma ogni tanto si contesta o si nega questa sua qualità.
Dietro la relazione simbolica Cerere – Plutone intravediamo quella Proserpina – Plutone, e tutte queste divinità “ctonie” che erano associate alla fecondità della terra. Anche Proserpina, come Cerere, vive nella circolarità, trascorrendo parte dell’anno agli inferi con lo sposo e parte sulla terra con la madre. E Proserpina, secondo alcune ipotesi avanzate anche dalla scuola astrologica di Lisa Morpurgo, potrebbe essere il nome del primo transplutoniano, il cui domicilio, il segno del Toro, sarebbe opposto a quello di Plutone.
Si può dunque pensare che il cielo, con le luci simboliche dei suoi segni, costellazioni e pianeti, sia solcato da ideali frecce del tempo o dello spazio. C’è l’asse Luna – Saturno, che coincide con quello Cancro – Capricorno. E c’è l’asse Cerere – Plutone (o Proserpina - Plutone), che coincide con quello Toro – Scorpione. (Ci sarebbe un terzo asse del tempo, quello Vergine – Pesci, ma per ragioni di brevità sorvolo su questo).
Insomma la Luna e Cerere (e la stessa Proserpina) descrivono un tempo circolare e “rassicurante”. Questo tempo ciclico ci è familiare e parla dell’infanzia e dei nostri paesi d’origine. Il giorno e la notte, il mese e l’anno, hanno queste caratteristiche e durate perché il nostro paese è la terra e i nostri luminari sono il Sole e la Luna, padre e madre celesti.
Invece Saturno descrive il tempo della vecchiaia, ed è un tempo che si proietta verso il lontano e attraversa porte misteriose. Con il suo satellite Giano Saturno ci conduce alla porta del cielo (“Ianua cieli”) e al “tempo del giudizio” di cui ci parlano le tradizioni religiose.
Qualcosa di simile vale per Plutone, che, con il suo “compagno” Caronte, sembra alludere all’attraversamento di un fiume fatale (è forse il “fiume” della galassia?), e conduce ad un’altra misteriosa porta, quella della “stella nera” collocata al centro della galassia. E a questa porta si smarrisce la consueta nozione di spazio e di tempo, per acquistare il senso di un’altra realtà e di un’altra vita.
Senza la prospettiva di queste porte misteriose il tempo sarebbe un eterno girare in tondo, forse senza senso né ragione. Il mistero del tempo che si perde nell’infinito restituisce un senso alla vita e la inquadra in una prospettiva di evoluzione e di rinascita.
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Al di là del tempo. La stella nera
Una supernova è una stella che esplode e proietta nello spazio una gran quantità di materia luminosa, così da rendersi visibile a grandi distanze. Se dopo l’esplosione la materia residua della stella è di massa maggiore di un certo limite, oggi valutato intorno alle due masse solari (oppure se una stella di neutroni riceve un apporto di materia da una stella compagna, di modo che non ce la più a reggere il proprio peso) la materia gravita verso il centro con effetti caotici sconcertanti, precipitando in un punto di densità virtualmente infinita. In quel vortice stellare simile ad un Maelstrom anche la luce verrebbe risucchiata, e con essa ogni altra informazione. La schiacciante gravità incurverebbe i raggi di luce che non potrebbero superare il cosiddetto “orizzonte degli eventi” (Il raggio limite che racchiude la sfera dell’invisibile è detto raggio di Schwarzschild (r = 2GM/c²), ed è proporzionale alla massa della stella. Per una stella pesante come il Sole sarebbe di soli 3 km). Nascerebbe insomma una “singolarità” nello spazio e nel tempo, come un taglio nella trama di un tessuto, che è stata definita “black hole”, buco nero. La grandezza di questo sarebbe anche una misura della sua entropia, cioè del disordine del sistema, disordine che risulta tanto più pronunciato quanto minori sono le informazioni che abbiamo su di esso. Naturalmente la mancanza di informazioni (o di luce) può spaventare perché l’uomo immagina che l’ignoto sia popolato di mostri. Personalmente preferisco definire la singolarità spaziale come stella del disordine, oppure “stella nera”. Si ritiene che queste entità celesti si trovino al centro delle galassie, dove possono ingrandirsi a spese di altre stelle vicine. Vi è anche un altro motivo per cui queste entità possono definirsi “Soli” o stelle: vi sarebbe una particolarissima radiazione che emana da essi, detta radiazione di Hawking dal nome di chi la scoprì. Il fisico Stephen Hawking pensò di applicare la teoria quantistica dell’indeterminazione allo studio delle singolarità spaziali, e ipotizzò l’esistenza di coppie di particella – antiparticella che si creano dal nulla come in un gioco di specchi in tutti i punti dello spazio e quindi anche ai bordi di una stella nera. Una particella si salverebbe e manderebbe segno di sé al mondo circostante, mentre la rispettiva antiparticella sarebbe “sommersa” dal vortice gravitazionale. S’irradierebbe dunque una debole luce, per cui queste singolarità potrebbero persino evaporare nel corso del tempo.
Un pittore e scultore del novecento, Lucio Fontana, divenne famoso operando dei semplici tagli nelle tele, nella ricerca di una nuova concezione spaziale nell’arte. In modo analogo in una stella nera appare squarciato il tessuto dello spazio tempo come noi lo conosciamo.
Si parla di congelamento del tempo apparente (il tempo misurato da un osservatore lontano) e di fine del tempo proprio, quello misurato da chi per ipotesi si addentra nella stella nera, dove, secondo Jean Pierre Luminet, “il futuro ha una fine: la singolarità al centro”.
Si potrebbe infine ipotizzare che le “stelle nere” giochino un ruolo nella nascita della vita, che siano incubatrici della vita stessa. Infatti la vita nasce nell’oscurità e non nella luce, nel disordine e non nella perfezione delle forme visibili, ed ha bisogno di configurazioni lontane dall’equilibrio per potersi mantenere e propagare.
Il fiume della freccia
A proposito di un’antica stella nera collocata al centro della galassia, la mia amica Chira mi parlò della leggenda di Kim. Lo scrittore Rudyard Kipling narrava di un vivacissimo ragazzo angloindiano chiamato Kim, che tra mille avventure trovò il tempo di seguire un Lama tibetano nelle sue peregrinazioni attraverso la grande India. Il maestro cercava il luogo dove scorreva il Fiume della Freccia che l’Arco del Buddha aveva scagliato.
Così il Lama raccontava: “…alla prova dell’arco, nostro Signore, dopo avere spezzato l’arco che gli si offriva, ne domandò uno che nessuno fosse capace di tendere…….
…. Allora, oltrepassando tutti i bersagli, la freccia volò lontano, molto lontano, a perdita di vista. E finalmente cadde. E là dove toccò terra sgorgò un ruscello che subito divenne un fiume di natura tale, che chiunque ci si bagna si purifica di ogni impurità e si monda della più piccola particella di peccato.”
Qual è il mistero del Fiume della Freccia?
Provammo a interrogare il cielo e le sue stelle e a vedere dove punta la Freccia (la stella Al Nasl) della costellazione dell’Arciere. La stella Al Nasl (punta della freccia) tocca proprio la fascia della Via Lattea. E la Via Lattea era per tante civiltà un Fiume: Tien Ho (il fiume celeste) per i cinesi, Akâsh Gangâ (il letto del Gange) per la civiltà indiana del Sanscrito, Al Nahr per gli arabi, N.har di Nur (fiume di luce) per gli ebrei, Mayu (il fiume) per gli Incas, e via dicendo.
Non solo, Al Nasl, la Freccia, sembra indicare il Centro della Galassia, a cui è assolutamente vicina. E’ questo il luogo di purificazione e illuminazione a cui pensava il maestro tibetano descritto da Rudyard Kipling?
E se questo Centro è abitato da una “stella nera”, a quale mondo conduce l’oscuro corridoio del Centro Galattico, indicato dalla Freccia dell’Arciere?
Rudyard Kipling, nato proprio quando il Sole e vari altri pianeti si trovavano nella zona dell’Arco e della Freccia celesti (vedi figura), termina il suo libro con il maestro che si rivolge al giovane Kim:
“ - Grazie al merito che mi sono acquistato, il Fiume della Freccia è qui. E’ scaturito ai miei piedi, come avevo detto. L’ho trovato. Figlio della mia Anima, ho strappato la mia Anima dalla soglia della Libertà, per affrancarti da ogni peccato. -
Intrecciò le mani sulle ginocchia e sorrise, come solo può farlo un uomo che ha conquistato la salvezza per sé e per la creatura prediletta.”
La stella nera della galassia sarebbe insomma a simboleggiare un luogo misterioso o un imbuto dove la materia si perde, ma anche il topos di un’anima universale, casa del cielo o centro fisico e metafisico, luogo di purificazione e di rinascita.
La Via Lattea e il centro della galassia
Il centro della nostra galassia si trova oggi ad una longitudine eclitticale di circa 27° Sagittario, in una zona di cielo che il Sole raggiunge pochi giorni prima del solstizio invernale. Nella cornice delle luci celesti, questo centro s’inquadra al confine di tre costellazioni e su esso sembrano convergere tre asterismi dal pregnante significato: la freccia dell’arciere a cavallo, la coda e il pungiglione dello Scorpione e il piede di Ofiuco.
Il cielo natale di Rudyard Kipling
La penna di Kipling racconta la leggenda dell’arco del Buddha che scagliò la freccia (Al Nasl) che raggiunse il fiume della purificazione (Via Lattea). Alla nascita di Rudyard Kipling (Bombay, 30 dicembre 1865, ore 16.30), come si vede in figura, Sole e Giove si trovavano all’altezza della mano dell’Arciere (Sagittario), Mercurio, Venere, Marte e Vesta all’altezza del “Fiume” e del Centro della Galassia.
L’arte di Lucio Fontana e il superamento dell’antica idea di spazio tempo
Concetto Spaziale
Lucio Fontana nacque da genitori italiani in Argentina, a Rosario di Santa Fè, il 19 febbraio 1899 e visse e lavorò a lungo anche in Italia. Scultore e pittore, dopo varie esperienze iniziò a tagliare le tele per superare l’angustia dello spazio della superficie pittorica, nella ricerca di una nuova concezione spaziale nell’arte.
“Tutti hanno pensato che io volessi distruggere: ma non è vero, io ho costruito (...) Io buco, passa l'infinito di lì, passa la luce, non c'è bisogno di dipingere”.
Nel 1949 espose alla Galleria del Naviglio di Milano: “L’ambiente spaziale a luce nera”.
Il taglio sta al tessuto spaziale della tela come la “stella nera” sta al tessuto dello spazio tempo della galassia.