Marco Gambassi
Studio delle stelle: Astronomia e Astrologia
- Novella di messer Giovanni da Certaldo
Riporto qui una novella di Messer Giovanni Boccaccio da Certaldo, con l' "italiano correggiuto"
Dal Decameron
La novella dell'ebreo Melchisedech e dei tre anelli
Melchisedech giudeo con una novella di tre anelli si salva da un gran pericolo apparecchiatogli dal Saladino.
Dopo che, commentata da tutti la novella di Neifile, ella si tacque, Filomena, col consenso della regina, cominciò a parlare così:
- La novella narrata da Neifile mi fa ritornare in mente il dubbioso caso già avvenuto a un giudeo. Vi narrerò una novella, udita la quale diverrete forse più caute a rispondere alle domande che vi verranno fatte. Voi dovete, amorose compagne, sapere che, così come la sciocchezza spesso porta lontano da uno stato felice e mette in grandissima miseria, così il senno salva il savio da grandissimi pericoli e lo mette in sicurezza e in riposo.
E che sia vero che la sciocchezza conduca qualcuno da un buono stato in miseria, lo si vede da molti esempi, e non c’è bisogno di raccontarli, perché sono evidenti. Ma ora, come ho premesso, mostrerò brevemente con una novelletta come il senno sia ragione di consolazione.
C’era una volta il Saladino, il valore del quale fu tanto, che non solamente da piccolo uomo lo fece sultano di Babilonia, ma gli fece anche avere molte vittorie sui re saraceni e cristiani. Il Saladino aveva speso tutto il suo tesoro in diverse guerre e in grandissime sue magnificenze. Gli occorreva, per qualche accidente sopravvenuto, una buona quantità di denari, ma non vedeva come poterli avere così velocemente come gli servivano. Allora gli tornò alla memoria un ricco giudeo, il cui nome era Melchisedech, il quale prestava a usura in Alessandria. E il Saladino pensò che Melchisedech avesse abbastanza denaro da poterlo aiutare, se lo avesse voluto, ma era così avaro che di sua volontà non l'avrebbe mai fatto. Il Saladino non voleva costringerlo con la forza; per cui, avendo bisogno di un prestito e cercando il modo di ottenerlo dal giudeo, pensò infine di fargli una forza da alcuna ragion colorata.
E fattolo chiamare e familiarmente ricevutolo, lo fece sedere vicino a sé, e dopo gli disse: "Valente uomo, io ho da più persone inteso che tu sei savissimo e senti molto avanti nelle cose di Dio; e perciò io saprei volentieri da te quale delle tre leggi tu reputi la verace, o la giudaica o l’islamica o la cristiana."
Il giudeo, il quale veramente era un uomo savio, capì troppo bene che il Saladino cercava di pigliarlo nelle parole per dovergli muovere qualche questione, e pensò che non poteva lodare una di queste tre fedi più che le altre, che il Saladino non avesse la sua intenzione. Per cui, pensò ad una risposta giusta, per la quale non potesse essere preso, aguzzò l’ingegno e gli venne presto in mente ciò che doveva dire. E disse: "Signor mio, la domanda che voi mi fate è bella, e a volervi dire ciò che io penso, devo raccontarvi una piccola novella, quale voi udirete. Se io non erro, mi ricordo di aver molte volte sentito dire che ci fu un uomo grande e ricco, il quale, tra le altre gioie più care che aveva nel suo tesoro, possedeva un anello bellissimo e prezioso. E voleva fare onore a questo anello per il suo valore e la sua bellezza, e lasciarlo in perpetuo ai suoi discendenti. Allora ordinò che quel figlio al quale avesse lasciato questo anello, fosse ritenuto il suo erede e dovesse da tutti gli altri esser onorato e riverito come maggiore. E il figlio al quale l’anello fu lasciato, fece la stessa cosa con i suoi discendenti, così come aveva fatto il suo predecessore. E in breve questo anello andò di mano in mano a molti successori, e ultimamente pervenne alle mani a uno il quale aveva tre figli belli e virtuosi e molto obbedienti al loro padre, per la qual cosa amava ugualmente tutti e tre. E ognuno dei tre giovani conosceva la consuetudine dell’anello, ed era desideroso d'essere il più onorato tra i suoi, e ciascuno per sé, come meglio sapeva, pregava il padre, già vecchio, che prima di morire lasciasse a lui quell’anello. Il valente uomo, che amava parimente tutti e tre i suoi figli, non sapeva scegliere a quale dei tre lasciare l’anello. Allora pensò, avendo promesso l’anello a ciascuno, di volerli soddisfare tutti e tre. E segretamente fece fare a un buon maestro orafo altri due anelli, che erano così simili al primo, che lo stesso artigiano che li aveva fatti conosceva appena quale fosse l’originale. E il padre, prima di morire, diede segretamente uno dei tre anelli a ciascuno dei suoi tre figliuoli. I quali, dopo la morte del padre, volendo ciascuno occupare l’eredità e l'onore e negandola l'uno all'altro, fecero vedere ciascuno il proprio anello per testimoniare il loro diritto all’eredità. Ma trovarono che i loro anelli erano così simili l'uno all'altro, che non si poteva conoscere quale fosse il vero; e così rimase in sospeso la questione di chi dei tre fosse il vero erede del padre: e ancor oggi la questione è in sospeso. E così, signor mio, rispondo alla domanda che mi avete fatto, sulle tre leggi date da Dio padre ai tre popoli. Ciascun popolo a buon diritto crede di avere la sua eredità, la vera legge e i suoi comandamenti. Ma è ancora in sospeso la questione di chi abbia la vera eredità, proprio come quella degli anelli."
Il Saladino riconobbe che Melchisedech era saputo uscire benissimo dal laccio che gli aveva teso davanti ai piedi, e perciò pensò di confidargli il suo bisogno di denaro e di vedere se lo volesse aiutare. E così fece, aprendogli ciò che aveva avuto in animo di fare, se non gli avesse risposto così discretamente come aveva fatto. Il giudeo servì liberamente il Saladino d'ogni quantità che questi gli richiese, e il Saladino poi gli restituì interamente il denaro; e oltre a ciò gli donò grandissimi doni e sempre l’ebbe per suo amico e lo mantenne in grande e onorevole stato presso di sé. -
riporto qui di seguito l'introduzione alla raccolta di poesie "Gli animali del sogno e il sogno degli animali" che ho recentemente ristampato.
Gli animali e la poesia
Per ogni poeta, per ogni piccola e grande poesia c’è un animale.
Nel viaggio immaginario della “Commedia” di Dante tre animali sbarrano il passo al protagonista. Sono tre specchi di sé. La lonza, la leonessa e la lupa, rispettivamente associate dai commentatori antichi alla lussuria, alla superbia e all’avarizia… Ecco i versi del primo canto dell’Inferno dantesco:
“Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta,
una lonza leggiera e presta molto,
che di pel macolato era coverta;
e non mi si partìa dinanzi al volto,
anzi ’mpediva tanto il mio cammino,
ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto.
Temp’era dal principio del mattino,
e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle
ch’eran con lui quando l’amor divino
mosse di prima quelle cose belle;
sì ch’a bene sperar m’era cagione
di quella fera a la gaetta pelle
l’ora del tempo e la dolce stagione;
ma non sì che paura non mi desse
la vista che m’apparve d’un leone.
Questi parea che contra me venisse
con la test’alta e con rabbiosa fame,
sì che parea che l’aere ne tremesse.
Ed una lupa, che di tutte brame
sembiava carca ne la sua magrezza,
e molte genti fe’ già viver grame,
questa mi porse tanto di gravezza
con la paura ch’uscìa di sua vista,
ch’io perdei la speranza de l’altezza.
E qual è quei che volentieri acquista,
e giugne ’l tempo che perder lo face,
che ’n tutt’i suoi pensier piange e s’attrista;
tal mi fece la bestia sanza pace,
che, venendomi ’ncontro, a poco a poco
mi ripigneva là dove ’l sol tace.”
L’incontro del poeta con questi favolosi animali che incarnano i suoi vizi o i suoi istinti più selvaggi, lo costringe a interrompere un cammino sbagliato, a prendere coscienza di sé e del suo stato presente e infine a uscire dalla foresta scura per imboccare la via della salvezza attraverso i regni dell’immaginario: gli inferi abissali, la montagna della fatica e il cielo dello splendore.
Ogni poeta ha le sue figure animali che spiccano nel paesaggio della sua fantasia o della sua esperienza reale.
Chi non ricorda il “passero solitario” di Giacomo Leopardi, che il poeta dipinge come metafora di sé?
“D’in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finché non more il giorno;
Ed erra l’armonia per questa valle.
....”
Nella poesia di Giovanni Pascoli emerge la cavalla selvaggia, testimone unica e attenta della morte del padre. La cavalla, figura di vita e di sacralità, si fa soggetto di mediazione tra la vita reale e il mondo dei morti e della memoria, dove la voce del padre si è smarrita.
“Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;
che nelle froge aveva del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.
.....”
Vi sono altri animali e altri poeti. Umberto Saba spesso ci parla di animali con le sue poesie. Ad esempio è molto noto il componimento con il quale il poeta gratifica la sua donna con vari attributi di animali:
“Tu sei come una giovane,
una bianca pollastra.....”
In un’altra poesia di Saba “la capra” è simbolo di un dolore universale che accomuna uomini e animali:
“Ho parlato a una capra.
Era sola sul prato, era legata;
sazia d’erba, bagnata
dalla pioggia, belava.
Quell’uguale belato era fraterno
al mio dolore. Ed io risposi, prima
per celia, poi perché il dolore è eterno,
ha una voce e non varia:
questa voce sentiva
gemere in una capra solitaria.
In una capra dal viso semita,
sentiva querelarsi ogni altro male
ogni altra vita.”
Anche la lingua straniera ha ovviamente i suoi animali. Garcia Lorca parla di una cicala in una lunga poesia dedicata a Maria Luisa. Ne riporto alcune strofe:
“Felice te,
cicala!
che sopra il letto di terra
muori ebbra di luce.
Tu dalle campagne apprendi
il segreto della vita,
ed è rimasto chiuso in te
il racconto della vecchia fata
che sentiva nascer l’erba.
Cicala!
Sonora stella
sopra i campi addormentati,
vecchia amica delle rane
e dei neri grilli,
hai sepolcri d’oro tu
tra gli ondeggianti raggi
del sole che dolcemente ti ferisce
nell’ardore dell’Estate,
e il sole porta con sé l’anima tua
per farla luce.
....”
E ancora, tra le tante, la poesia su “Los alamos de plata”, cioè “I gattici d’argento”:
“I gattici d’argento
si piegano sull’acqua:
essi sanno tutto, ma non parleranno.
..........
La scienza del silenzio di fronte al cielo stellato
Solo il fiore e l’insetto la possiedono,
la scienza del canto per il canto la possiedono
i boschi rumorosi e le acque del mare.
……….”
In tutta la poesia di Lorca vibra l’incanto della natura. Dall’ “araña de l’olvida” (ragno dell’oblio) al “macho cabrìo”, dalla “mariposa del beso” al “pensiero misterioso” che “turba le spighe”: gli animali, le piante, le sorgenti e le stelle vibrano insieme negli stessi versi.
Anche sul versante della poesia satirica e della favola morale, alcuni grandi autori ricorrono a divertenti personaggi animali per dare ammonimenti di vita. Si può ricordare Esopo tra gli antichi autori in lingua greca. Il genere di Esopo fu ripreso e latinizzato da Fedro, il quale, nel Prologo al suo primo libro, ne anticipa le doti:
“Duplex libelli dos est: quod risum movet
et quod prudenti vitam consilio monet.”
La tradizione antica di ammonire sorridendo e tratteggiando animali quasi umani fu ripresa nella storia recente dal romano Trilussa. Tra i suoi tanti curiosi componimenti eccone uno breve su “La Lucciola”:
“La Luna piena minchionò la Lucciola:
- Sarà l’effetto de l’economia,
ma quel lume che porti è debboluccio…
Sì, - disse quella – ma la luce è mia!”
Dunque gli animali non vivono solo nella realtà selvaggia o in quella civile, dove si rifugiano fra i tetti e le case, ma popolano anche l’immaginario, il sogno e la fantasia degli uomini. Questo è evidente in tutte le tradizioni astrologiche che tramandano figure animali come segni delle stagioni, simboli del fluire del tempo e manifestazioni dell’anima. Anche le tradizioni religiose attingono al potere delle immagini animali, ora per raffigurare vizi e virtù, ora per riportare l’uomo a interrogarsi su se stesso e su una possibile evoluzione o involuzione, oppure per alludere alle forze misteriose della trascendenza.
Ad esempio il toro, in molti culti religiosi affermatisi nel bacino del Mediterraneo nel lontano passato, appare come un simbolo di fecondità.
Come in poesia, anche nella storia della religione gli animali e le loro raffigurazioni segnalano i pericoli di corruzione del cuore umano.
Nella Bibbia, l’episodio del vitello d’oro ricorda l’affermarsi di un culto dell’immagine che può allontanare l’uomo dal suo fine essenziale e che è visto in contrasto con la tradizione ebraica.
Ancora nella Bibbia, nel Cantico dei Cantici, c’è la nota invocazione all’amata con la quale gli animali vengono assunti a metafora di bellezza:
“Come sei bella amica mia come sei bella
Fra le tue trecce i tuoi occhi sono colombe
Come un gregge di capre
Sospeso sulle pendici del Ghilàd
I tuoi capelli
Come un gregge di capre
Che salga dal lavatoio
Vanno a coppie i tuoi denti
Nessuno è solo
..........
Cerbiattini le tue mammelle
Gemelli di gazzella
Tra i gigli alla pastura
......”
L’agnello, animale sacrificale da tempi antichissimi, viene associato a una figura umana e religiosa al tempo stesso, e infine a una nuova storia dell’umanità: l’agnello è Cristo, che si pone come centro di espiazione e di redenzione. Nel cristianesimo delle origini risalta spesso l’immagine dei Pesci, anch’essa assunta a simbolo dell’incarnazione dello spirito.
L’agnello (il piccolo dell’Ariete) e i Pesci sono raffigurati nello Zodiaco occidentale come primo e ultimo segno. L’Ariete è un principio di energia che dà inizio a una storia; i Pesci sono un principio di sovvertimento, per il quale gli ultimi saranno i primi.
Nelle religioni orientali, e in particolare nell’induismo, la forma animale viene assunta a metafora del divino. Basta pensare a Ganesh, il dio elefante. La vacca è tuttora riconosciuta come sacra. Inoltre si consiglia e si pratica il vegetarianismo e il rispetto di ogni forma di vita: è il principio dell’ “ahimsa”, il principio della “non – violenza” che Gandhi attuò in politica. Per la filosofia indù infatti la vita spirituale migra di forma in forma. E dietro ogni parvenza, oltre ogni maschera c’è uno stesso spirito vitale, uno stesso soffio divino.
Insomma, con questo libro vorrei rendere un piccolo personale omaggio al mondo degli animali e spezzare per loro la lancia della poesia. Assediati e sterminati anche in quelle zone franche a cui l’uomo un tempo non accedeva, o almeno non con questa forza tecnologica e schiacciante di mezzi, i popoli animali liberi stanno sempre più riducendosi e in molti casi scomparendo. Il loro ambiente è aggredito, inquinato e violato in ogni possibile modo, ed essi sono cacciati per i motivi più disparati, ma quasi mai per la fame o per la sopravvivenza di chi li caccia. Si compie un infinito sacrificio di esseri senzienti per sete di potere e di ricchezza.
Quanto agli animali domestici o di allevamento, le loro condizioni di vita sono sempre più strumentali e meno naturali, e i loro ambienti sempre più esigui e costretti. Gli animali “allevati” smarriscono ogni specifica memoria e perdono ogni relazione affettiva e sociale. Anche il rapporto coatto con gli allevatori si va estinguendo, sostituito dal rapporto con le macchine, che danno la vita e la morte.
Perché invece non comprendere sin d’ora gli animali nella società globale del pianeta quali portatori di alterità e soggetti attivi di un patto sociale? Nella società planetaria ci sono anche loro, con le loro intelligenze… E come può esserci la pace tra i popoli umani, se l’uomo è sempre in guerra contro le altre specie del pianeta?
Le specie non umane non parlano la nostra lingua, ma hanno i loro affascinanti linguaggi e la loro saggezza. Forse le loro voci parlano al cosmo o comunque ad un universo non del tutto assimilabile al nostro. Forse i loro uditi accolgono la voce delle stelle. La loro presenza per l’equilibrio ecologico del pianeta è preziosa e indispensabile. E’ importante la loro vitalità affettiva e la loro compagnia. Gli animali ci restituiscono un mondo rotondo, dove sensibilità e intelligenza umana possano unirsi alle loro peculiari percezioni e ai loro sentimenti.
Il futuro chiede una società civile che associ e affratelli esseri umani e animali, ciascuno con i suoi diritti e i suoi limiti, con i suoi territori da proteggere e rispettare, ciascuno membro ideale e diverso di un contratto o di un patto sociale. Una società di uomini e animali non sarà solo più giusta, ma più forte e più adatta alla sopravvivenza e alla felicità.
Le varie specie del pianeta non dovranno semplicemente coesistere in una forzata abitazione, guardandosi in… cagnesco, ma trovare le forme di una nuova solidarietà e di una comunicazione non verbale, ma non per questo meno utile e intensa. Infatti molte esperienze ci dicono con forza che gli animali sono in grado di stringere legami di solidarietà e di affetto. Sono in grado di sognare e vivono nei nostri sogni e nei miti. Gli animali volano e sprofondano e conoscono vie che noi non conosciamo e possono insegnarcele. Le vie per esplorare gli abissi e per salire al cielo, e quelle di abitare in pace la terra.
Gli animali hanno un’anima.
Ringrazio la scrittrice Franca Frati per la sua introduzione, Maria Grazia Dassetto Granaglia, artista e studiosa di astrologia, per i suoi “collages”, mia moglie Rocca per il costante e decisivo aiuto; e tutti gli amici, uomini e animali, che hanno ispirato questi versi.
Marco Gambassi
Firenze 2009
Qui di seguito riporto alcune mie poesie
Il mistero del tempo rugge
tra le ruote
fantastiche dell'oblìo.
Il vento impegna i vortici
arborei
e i semi candidi e geme
e il tuo sorriso
fa ridere il mondo.
L'alba del tuo sguardo
proietta astri lucenti
nel vuoto ebbro
d'infinite distanze
che l'attimo del tuo cuore
può colmare.
IL CIELO PARLA
Salute, alba di Venere
che tingi le labbra della terra,
e sei un tenue sospiro.
Nell’alba nasce la voce:
Mercurio torna a parlarti di un fratello,
Venere di un amore.
Così le notti parlano e ci accompagnano:
la cometa di Hale-Bopp portò tempeste nel cuore
da profondità senza nome.
Forse nelle stelle
abitano i morti
e parlano i miti.
E invano l’uomo cancella la sua memoria:
dal buio dell’oblìo sorge una stella.
Non sentirti mai solo
se prima non hai udito
la voce delle stelle.
Non sentirti mai forte
se hai chiuso le tue porte al cielo.
Pioggia, pioggia di luci
bagna la notte
e di giorno si riposa
nell’azzurro del Sole.
ARCOBALENO
Arcobaleno di luci
sul mare.
Un momento di gioia
da dividere.
Il cerchio dei monti
pare accoglierci
in un abbraccio.
Nella sera si placa
l’urto della luce.
Fai della tua vita
un arcobaleno.
LONTANANZA
Bologna, Dicembre 1995
Lontananza
Ghiaccia sugli spigoli
Della pioggia
Esausta. Una voce
Respira
Sui mattoni anneriti,
un’idea
lontana, avulsa
corre infreddolita.
***
Piste di sabbia del deserto,
campi roventi dell’antico spirito
***
Sogni inerti giacciono sul tavolino
Per essere lucidamente esaminati.
Una mano giace,
con i suoi sentieri d’ombra,
i suoi viali franchi,
le sue piste di foglie secche.
***
Dopo l’oasi ancora muove le sabbie il vento,
fresco, come un respiro forte,
e le piste sono sgombre.
La terra è ammutolita.
***
Stretti banchi,
e una lavagna piena…
Vani richiami
Sul recinto di stoffa
Bagnata e scolorita…
***
Ciottoli bruciati
Navigano il deserto,
un fiore risale
la china del vento.
Le foglie acquose
Frantumano il fragore del sole,
e hanno nidi vuoti d’ombra
oltre gli steccati vani
del tramonto affaticato.
Quale giustizia?
La crudeltà è l’ombra della giustizia, è il suo non essere, una traccia scura di sangue
Centro d’arte
19 Dicembre 1995
Quadrati esangui
Spingono lontano
Il pavimento fioco,
le lingue avare di terra
dissepolta.
Trecce d’arte,
spighe pendule di luci al neon
urlano i volti fantastici
di una sera di attesa inerte.
***
Già sento i tuoi passi
Mormorare oltre la parete
Già un cuore trema
Un torciglio di vene
S’ingorga…
***
Rabbia frettolosa,
urlata ai passi incerti
delle solite scale.
Rabbia ammutolita,
inabile.
Aspro declivio di
Grosse pietre a quadri.
***
Non ti affrettare.
La tua pelle è lucente
Come un riverbero puro della notte fievole.
E i tuoi capelli hanno pendagli
Tremolanti.
***
Rosa eterea
Pallida naufraga dell’aria
(Turbine di desiderio)
prigioniera di un sogno
superato dal tempo,
ravviso il tuo sentimento
goffo e dimenticato.
***
Capillari stretti dal fumo,
capelli bianchi,
ruota di pensieri.
Ancora un sussurro sbadiglia
Dagli spifferi di porte
Malandate.
***
Un giorno di vera pace
E correre senza fatica
Sul fianco della riva scura,
presso il ripostiglio di letame,
e toccare la tua bocca
appena
appena…
Figlio
Firenze 19 – 12 – 1995
Azzurra distesa di rovi,
su cui spiccano le more salate,
su cui saltellano
i grilli. E tra il fruscio degli sterpi
la vipera, vilipesa, abbraccia
la terra arcana.
Figlio, alato fanciullo delle spighe dell’etere,
venuto da lontano
oltre le nebbie tossiche
e oltre i campi aridi
dei pianeti di roccia affastellata,
figlio del cammino.
***
Saliremo ancora
Per le antiche scale
Nell’anfiteatro roco della pioggia.
Abiteremo ancora
Le ripide conchiglie
I vuoti memori di leggenda,
e muoveremo il ventaglio
ispido della roccia.
Avremo ali ai piedi
Trecce fluenti.
Le cascate invisibili
Inonderanno la spianata del castello
Ai piedi della rupe salata
Di Manitù,
e seguirò i tuoi passi nel campo
di patate.
Tra i verdi fuscelli…
…
Un insetto batte contro il vetro
inutile.
Invade la sera lo spazio
di parole alate
che fuggono
e s'infrangono contro un vetro.
Vola via, insetto,
ti apro la finestra,
è troppo angusto qui lo spazio
per morire.
Vola e va nel vento
se vento c'è.
E anche altre parole
con te
voleranno felici nel sole.